Da quando abbiamo ingrandito la Patacasa, la mia stanza preferita forse è l’ingresso, altrimenti detto la stanza del fango…o meglio la stanza dove il fango deve essere lasciato.
Ma le cose che mi piacciono di più sono che dietro a una tenda cela il luogo dove tutte le signore vanno a incipriarsi il naso e i signori vanno a bere il cognac, e che ha un piccolo lavandino.
Il motto propinato a nastro (abbiamo anche dei pappagalli di plastica da adoperare alla bisogna) a chi entra in casa, soprattutto se minorenne è : scarpe pipì mani.
Però aveva un che di incompiuto, la parete dietro al piccolo lavabo non era stata mai trattata e ormai era sporca da far paura, visto che qualcuno la usava per asciugarsi le mani….e mancavano anche gli zoccolini, perché ci eravamo dimenticati di metterli, eh sì.
Io vado avanti a colpi di raptus, ormai si sa. La priorità quindi è tornare a casa. Mangiare è superfluo, fare la pipì (ops, incipriarsi il naso) rimandabile. Forse con la borsa ancora a tracolla inizio a dipingere, guardando stralunata una parete di casa mia diventare nera.
Una mezz’ora scarsa ed è fatta. L’ingresso si fa improvvisamente più teatrale, i bambini scalpitano con i gessetti in mano, ma dovranno aspettare ancora 48 lunghissime ore, e Patapà è commosso all’idea di avere una parete così sobria ed elegante in casa.
Certo, la sobrietà dura poco. Un merletto bianco va a coprire le sbavature della vernice (in meno di mezz’ora cosa pretendevate?! e provate voi a dipingere con la borsa a tracolla) e presto i gessetti si rendono utili.
Io scrivo finalmente il motto dell’ingresso, pensionando i pappagalli, e Patasgnaffa si dedica ai fiori.
Certo poi torna Patagnoma che si incavola come una biscia perché abbiamo disegnato senza di lei. Dall’alto del suo quasi metro di altezza mi intima di cancellare tutto e brandisce minacciosa un gessetto gigante….ecco ora il nostro ingresso non è più molto sobrio e elegante.