Il secondo posto del Fuori Salone di cui voglio parlarvi è ancora una volta defilato, fuori dalla confusione, che basta poco, è sufficiente svicolare in una via parallela o attraversare un Naviglio.
E nella quiete di ex strutture industriali, in mezzo agli alberi e con l’erba sotto i piedi, trovi l’esposizione di Pantone, in collaborazione con MaxMeyer.
E sono latte di colore e pannelli su cui provarli, mentre il sole che tramonta dona a tutto sfumature dorate.
Qui hanno provato a convincerci della bellezza del Marsala, colore dell’anno per Pantone, ma, mi spiace, con me proprio non ce l’hanno fatta, nonostante i canapè buonissimi. Ho apprezzato però tantissimo che anche le foglie degli alberi fuori fossero tinte dello stesso colore perché la coerenza è una cosa che apprezzo moltissimo.
Ci hanno anche parlato di un nuovo concorso Instagram. E anche questo ho apprezzato tantissimo perché io Instagram lo amo sopra ogni altro social ( se non mi seguite diventerete daltonici).
Bisogna scattarsi un selfie, in cui ci sia molto colore, la vostra idea di colore, il vostro parlare colorato. Dovete taggarlo #justcoloryourselfie registrandovi prima sul sito CollectionPantone.maxmeyer.it. In palio un weekend nell’albergo Pantone di Bruxelles.
Ma in verità non è di questo che volevo parlarvi in questo post. Prendete quello che avete letto come una lunghissima introduzione.
Volevo parlarvi di come piccoli dettagli possano portarci in un ricordo lontano. Così lontano che il ricordo non è neanche mio, ma uno di quelli che mi raccontava NonnaMini quando ero piccola mentre stavo ad ascoltarla e volavo via con lei in una vita che sembrava quella di un film
Che con il senno di poi avrei dovuto fare più attenzione, avrei dovuto ascoltarli di più, chessò io, avrei dovuto scriverci un blog, anche se quando era viva lei i blog ancora non c’erano. Perché la sua vita, ma quella dei nonni in generale, aveva i colori e un’intensità che noi ce la sogniamo. Non so se fosse per il vivere sospesi tra due guerre o la mancanza della televisione, ma sentir parlare un nonno è sempre come leggere un ricchissimo romanzo, e non so se i nostri racconti potranno mai essere così epici.
E non si tratta solo di episodi drammatici superati con un coraggio che forse geneticamente non è passato, ma anche di episodi demenziali, divertenti, di una follia che fa girare gli angoli della bocca in su e che ti può anche far finire a fare un bagno in una fontana (no, non sono la nipote di Anita Ekberg).
E così mentre fissavo una latta di colore con un cagnolino sopra mi sono ricordata di un carnevale di quasi ottant’anni fa.
Grandi case Milanesi che, sopravvissute alla Prima Guerra, si riempivano di musica e risate, appena prima che la Seconda sfondasse prepotentemente la loro porta.
Grammofoni che suonavano, e giovani donne con abiti da sera. Giovani che si affacciavano alla loro vita adulta con allegria scanzonata e una voglia di vivere e sopravvivere che sarebbe stata la loro salvezza.
Quella sera erano tutti in maschera, il vino riempiva i bicchieri. Un clic, e la musica si fermò. Il tempo di girare il disco, che i piedi, fasciati da calze sottili ripresero a muoversi veloci e aggraziati.
Quand’ecco la porta di ingresso si aprì di colpo e due imbianchini entrarono di schiena armati di pennello e latta di vernice. Procedendo all’indietro verniciarono l’antico parquet,tra risate e sguardi di divertita riprovazione, lasciando una striscia di colore, e giurerei non fosse Marsala.
Erano i due fratelli Maxmeyer.
Che qui nuovamente il rimpianto di essere stata poco attenta, che i fratelli MaxMeyer, ho guardato, non esistevano. C’era Gianni Varasi, figlio di Leopoldo che allora dirigeva la ditta del il cagnolino con il pennello in bocca, chissà se era lui, alla nonna non posso più chiederlo.
Sono quei dettagli che scolorano nel tempo, dando ai racconti quella patina di epicità.
Colore Pantone 2016