Prima o poi doveva succedere, prima o poi dovevo guardare il famigerato TE TRUE COAST, il video documentario che racconta come vengono prodotti i vestiti fast fashion che ingordamente riempiono i nostri armadi. Avevo rimandato, negli anni avevo glissato sulle etichette made in Orienteland raccontandomi che nel 2000 le fabbriche ovunque fossero sarebbero state comunque umane. Poi la Guru del Conero ha parlato e sapete bene che non posso non ascoltarla e allora ho guardato.
Per fortuna, avendo letto qua e là ero preparata, è stata dura ma fattibile, e certo ha messo molto in discussione nella mia testolina bionda, forse anche troppo. Perché se si fanno così i vestiti si faranno così i tessuti, le tazzine, le sedie che tanto mi piacciono, i miei tappeti di plastica (probabilmente quelli di Madamepot no)…e così via in un circolo infinito che mi vedrebbe bandita dallo shopping per sempre. Che poi forse Patapà sarebbe anche contento.
Comprare solo consapevole e MadeinItaly non me lo posso permettere. Per le cose che piacciono a me spesso vorrebbe dire un solo capo in tutta la stagione, magari prima o poi ci arriverò, ma non ne sono sicura, i vestiti mi affascinano troppo. Però prometto di tenere d’occhio i saldi.
Posso comprare quasi solo vintage, direi che quella forse è la mia strada.
Per quel che riguarda il resto i mercatini delle pulci sono già una seconda casa per me, devo solo stare più attenta e tenermi lontana il più possibile dai grandi magazzini. Il più possibile credo sia la parola chiave, per quel che mi riguarda, perché conosco i miei limiti, rinunciare del tutto all’Ikea credo potrebbe provocarmi un Ictus. Anche vegetariana sono riuscita ad esserlo per soli due anni.
Però non mangio bambini (solo i miei), e compro solo carne allevata in fattoria qui dietro a casa (le gioie della vita campestre)…tentativi di scelte consapevoli, il più possibile.
È quello che vorrei fare con i miei vestiti, cominciando anche a tirare fuori dall’armadio della nonna la pelliccia, mai messa perché poco etica. Ma è più etico mettere una pelliccia fatta con bestiole ahimè morte cinquant’anni fa, che la permanenza in un armadio dubito riporterebbero in vita, o comprarne una sintetica nuova fatta in Bangladesh?
Però davvero non ho ancora sciolto il bandolo della matassa per quel che riguarda le bambine. Il ritmo con cui cambiano i vestiti, per crescita e disintegrazione (particolare attenzione ai colli che vengono succhiati da tutti e tre i miei figli tristemente bloccati alla fase orale e alle ginocchia…che non vengono succhiate però) e sporcizia (ciao, mi chiamo Gaia e non riesco a stare dietro ai bucati di cinque persone) è talmente elevato che solo il fast fashion per ora risponde a tutte le mie esigenze…ma no, non alla mia coscienza.